Thursday 25 Apr 2024

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40° Festival Internazionale del Teatro da "Serenissima" a "La base de tuto" in scena

Se si eccettuano gli spettacoli del Teatro Stabile La Contrada di Trieste che a partire dal 2005, in collaborazione con il Dramma Italiano di Fiume, ha messo in scena "Zente refada" e "Mia fia", sino all'allestimento de "La base de tuto" (1894) che sta circuitando in Veneto sino alla fine di aprile, i testi di Giacinto Gallina venivano rappresentati solo grazie all'impegno delle compagnie amatoriali venete con tutte le difficoltà che i nostri gruppi ben conoscono. Del resto, anche l'allestimento de "La famegia del santolo" diretta da Luigi Squarzina nel 1986 aveva confermato le difficoltà che persino una compagnia professionale poteva incontrare con un repertorio sì vasto come quello di Gallina ma, al di là della perizia con cui le commedie erano costruite, spesso lontano per i contenuti dalla sensibilità del pubblico odierno.

La scelta del Teatro Stabile del Veneto e della Teatri Spa di Treviso, coadiuvati per la circuitazione da Arteven, di scommettere su quest'autore recuperando dal dimenticatoio "La base de tuto" è stata coraggiosa, in sintonia, peraltro, con le linee di intervento che dovrebbero caratterizzare la presenza del "pubblico" in ambito teatrale. L'operazione, infatti, non si esaurisce nell'allestimento di un testo che, lontano dalle scene da più di un secolo, focalizza tematiche come egoismo e cupidigia degli esseri umani, presenti anche in altri lavori del commediografo veneziano senza essere portati come in questo alle estreme conseguenze: da un lato in questa stessa prospettiva si erano mossi quarant'anni fa Carlo Lodovici e Cesco Baseggio i quali - nell'ambito dei cicli di commedie venete prodotte per la Rai, negli anni in cui il repertorio veneto, grazie al piccolo schermo, godette di maggior fortuna - misero in scena proprio la già dimenticata "La base de tuto"; dall'altro l'intimo legame esistente con "Serenissima" (se non fosse irriverente si potrebbe parlare di "sequel"), di tre anni precedente (1891), non poteva essere ignorato.

Del resto non è proprio sotto l'auspicio di favorire l'innesto di elementi nuovi e di un approccio che renda la messa in scena dei testi del teatro di tradizione più vicini al pubblico odierno che nasce il progetto di Stabile e Teatri Spa, che prevede in questa stagione l'allestimento de "La base de tuto" e nella prossima di "Tramonto" di Renato Simoni? Da qui la scelta del regista Stefano Pagin di ricomporre in un unico spettacolo le due commedie, condensando nelle scene iniziali, desunte da "Serenissima", l'antefatto dell'intricata vicenda de "La base de tuto", proposta poi, per intero, in una prospettiva di inesorabile deteriorarsi dei valori umani. Solo per questa via era possibile dar conto sulla scena (e se non qui dove deve manifestarsi la ricchezza di un autore teatrale?) del diverso spirito che aleggia nell'una e nell'altra commedia: "Serenissima" è un lavoro apparentemente contrastato ma in realtà solare, i cui personaggi sono esponenti di una comunità vitale che, pur tra cadute e compromessi, combatte per la propria sopravvivenza non solo economica ma anche morale, nel solco di una tradizione millenaria; e vi si avverte di riflesso l'incanto unico degli esterni veneziani. "La base de tuto" porta in scena, vent'anni dopo, i sopravvissuti di quella stessa umanità, non più baciata da un "refolo" di speranza ma confinata nel chiuso del salottino di una famiglia del popolo relativamente agiata, quasi piccolo borghese, in cui dominano grettezza e meschinità: gli sviluppi stessi della trama portano in scena un'umanità che, paradossalmente, vede irrimediabilmente inquinate le sue relazioni dalla presenza del denaro, che si infiltra subdolo nei rapporti di coppia, con un matrimonio di copertura, quello fra Cecilia e Carlo, il quale intrattiene una relazione extraconiugale con una donna dal passato burrascoso, Norma, che per giunta vorrebbe appioppare alla moglie come madrina della figlia. D'altra parte anche la figlia della svagata Cecilia, per risarcire il cui perduto onore in "Serenissima" il vecchio Piero Grossi aveva rifiutato una somma di denaro, ha in realtà come padre Alvise Vidal, arricchitosi a seguito di una provvidenziale eredità e figlio del Nobilomo Vidal, in "Serenissima" emblema di un'aristocrazia in miseria. Eppure toccherà a lui, ancora un anziano, richiamare - con toni molto determinati, quasi violenti - il figlio all'ordine nel tormentato finale de "La base de tuto". Insomma, miseria e nobiltà di un'umanità che da popolana si fa borghese, contrasto che la regia di Pagin rende contrapponendo il clima concitato, l'atmosfera quasi panica delle scene iniziali di "Serenissima" (ravvivate addirittura da lampi e da musiche di indubbia suggestione nell'intento di evocare la festa veneziana per eccellenza, la regata) al contesto greve e soffocante del salottino della revendigola Giuditta, che sintetizza in una battuta fondamentale la filosofia sua e dei suoi sodali: "... i soldi xe la base, i soldi xe el capo essenzial! Altro che storie! I bessi, i bessi e se pol sigarlo ai quatttro venti senza paura che nisun se opona". Filosofia cui la saggezza del Nobilomo Vidal contrappone l'essenziale verità del "...perché volerse ben, xe la base de tuto". A tener in vita un briciolo di speranza in un futuro migliore personaggi come l'ineffabile Cecilia, d'una modernità sconcertante, e la bella coppia di popolani formata da Lisa e Bapi. Uno spettacolo che rivela un Gallina sconosciuto, contiguo a tanto grande teatro europeo del suo tempo, messo a nudo in questa sua peculiarità dal parallelo fra "Serenissima" e " La base de tuto": il teatro di parola fa passare in secondo piano il rischio di un approccio venato di retorica sempre in agguato quando ci si misura anche in parte con un testo solo apparentemente facile come "Serenissima". E l'averlo proposto a mò di prologo a "La base de tuto" consente di toccare con mano ad un tempo la varietà delle proposte ma anche la visione complessa e articolata della vicenda umana del Gallina drammaturgo.

Le interpretazioni eccellenti di Stefania Felicioli, dalla deliziosa calata di Burano, Michela Martini, Giancarlo Previati, Nicoletta Maragno e Massimo Somaglino, attori e attrici che hanno tutti lavorato ai massimi livelli nel teatro italiano, fanno il resto. Da elogiare anche Alessio Bobbo, Silvia Piovan e Demis Marin. I costumi sono di Stefano Nicolao.

Giuseppe Barbanti